Teatro Caverna

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In repertorio

Pensavo fosse un omaggio a Troisi




PENSAVO FOSSE UN OMAGGIO A TROISI INVECE ERA UN GRAMMOFONO
In occasione dei 30 anni dalla morte dell'attore

Con Orazio Condorelli e Damiano Caverna
Un progetto di Ultimi Fuochi Teatro e Teatro Caverna



A settant’anni dalla nascita (1953) e a 30 anni dalla morte (1994), un omaggio a Massimo Troisi nella forma di un racconto teatrale. Chi era Troisi? Un attore? Un napoletano? Un regista? Un’icona della meridionalità? Noi pensiamo che Troisi fosse soprattutto un antieroe, un divo senza fame di fama, un “perdente fortunato”, per citare Edoardo Galeano, un attore che con la sua ironica presenza ha dato spazio a riflessioni che ci riguardano tutti.

Troisi parlava (e parla tutt’oggi, a distanza di anni, anche alle nuove generazioni) di come ci si senta sempre più inadeguati in questa società fatta di stereotipi e scatole chiuse: fuori dagli schemi siamo tutti ironicamente nudi, e spesso incapaci di reagire. Al tema dell’inadeguatezza, nella vita come nei sentimenti, è dunque dedicato il nostro lavoro: un modo per dire che “io, anche se sono l’unico al mondo, dico che basta, non ce la faccio a vivere così, in un mondo dove tutti si deve essere Rambo”, citando un’intervista rilasciata da Troisi.



L’opera di Troisi rimane quindi sullo sfondo di un’indagine tra le pieghe della vita contemporanea, mostrando anche immagini tratte dai suoi film, ma esprimendo una concezione chiara: la vita perfettamente incanalata negli schemi orari/produttivi non è una vita sostenibile dall’uomo. O perlomeno: non è un modello salutare e sereno, e le conseguenze sono visibili da tutti.
Per raccontare questo facciamo leva sullo stereotipo nord/sud, che tanto era caro all’attore napoletano: uno scrittore del profondo nord, un attore del profondo sud, si incontrano insieme sul palco per raccontare storie di fallimenti. Ma dal fallimento si può già costruire una ripartenza, un’idea diversa di vita.



In scena la voce di Troisi si alterna e dialoga con quella di Orazio Condorelli, che racconta la sua passione fin da piccolo per Massimo: “Io a carnevale volevo vestirmi come lui”, dice in un punto del testo. Ma alla domanda “sei riuscito a diventare come Massimo Troisi” la risposta è fallimentare: ognuno può essere solo se stesso.
La scena è composta da un piccolo ambiente quotidiano: una stanza con scrivania e divano. Perché “da qualche tempo Il fantasma di Troisi è venuto ad abitare in casa mia”. Un ambiente normale, dove sentirsi se stessi, come si è, con le proprie inadeguatezze.

Il testo è realizzato per quadri: gli stereotipi, l’amore, i miracoli, il nord e il sud, la scelta di mettere la testa sotto la sabbia, la necessità di essere se stessi sono i temi principali trattati, con uno spunto ironico e divertente. Un’ironia sottile che, diradandosi, lascia però spazio ad una profonda riflessione.