Teatrografia
2006 |
Fuoco! Il teatrino di Galessio
“Alla fine di giugno Pietro Gallesio diede la parola alla doppietta".
Fulmineo, Beppe Fenoglio comincia così il suo giorno di fuoco. Tutto in una riga, dritto al bersaglio come un proiettile che esce dal fucile di Gallesio, personaggio tipico della galleria dei disperati fenogliani, in cui la frustrazione per una vitaamara sfocia nella reazione violenta e rabbiosa. Gallesio ammazza il fratello, il nipote, il parroco, un carabiniere. Si getta contro lo stato delle cose, contro tutti coloro che, dal suo punto di vista, sono i colpevoli della sua malora, per citare un'altra opera cara di Fenoglio. Ma Gallesio, come dice lo stesso Fenoglio, non è un folle, né un disadattato, né un killer.
Gallesio è un po' vivo, cioè uno che rifiuta l'inquadramento in tipologie di vita predefinite e compie una ribellione, destinata a fallire, che lascia tutti esterefatti. Pietro Gallesio morirà alla fine del racconto, anche se tutta la scena si svolge quasi nell'attesa, liberatoria per il paese, della morte del "folle di Gorzegno". Come se la ribellione dei vinti fosse destinata ad una grande tragedia, dove l'eroe, ben consapevole della sua sconfitta, non si sottrae ad un destino impetuoso e non sa trovare altre strade che quelle di una violenza incapace di sognare oltre. Per scrivere questo racconto, Beppe Fenoglio si ispirò ad un reale fatto di cronaca, accaduto nel 1933, un fatto molto simile a tanti che oggi si leggono sui giornali, ai tanti che con insistente invadenza le televisioni ci raccontano, spesso con una morbosa distorsione dei fatti che fa sorgere quasi banalmente alcune domande: chi sono i veri killer, quelli che all'odore del sangue accorrono per partecipare alla carneficina? Quali sono le colpe? C'è veramente qualcuno che può dire: loro sono i pazzi, a noi non capiterà mai?